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I piedi obbedirono all’istinto e la portarono alla casa. Entrò, e, prima che avesse tempo di pentirsene, si trovò nel bugigattolo del portinaio.

Il Berretta non c’era. Il signor Tognino gli aveva trovato un altro posto.

Sul tavolo fumigava in mezzo ai frastagli, alle pezze e alle filaccie una meschina lampadina a petrolio, che riempiva del suo puzzo e della sua luce rossastra il piccolo covo disabitato.

La fiamma non bastava a rischiarare che una porzione del portico e i primi gradini della scala. Nel resto il buio fitto involgeva la corte e gli anditi segreti di quella vecchia casa, dove Lorenzo veniva a cercare un compenso all’ineffabile noia della sua casa fresca, pulita, illuminata e impregnata d’una soverchia quantità di virtù casalinghe.

Arabella, aspirando con fremito nervoso l’odore acuto del petrolio, non sentì paura di trovarsi sola, in quell’ora, in quel luogo, in quell’avventura, come se le tenebre e il triste silenzio della tana suscitassero in lei delle seduzioni meno buone, delle vertigini dall’alto in giù; ma la voce di Lorenzo e il suo passo pesante che tornava indietro l’invasero di un subito spavento. Non potendo fuggire, si ritirò dietro un pezzo di paravento logoro, che nascondeva la cucina del portinaio.

Lorenzo scese di corsa, soffiando. Chiamò due o tre volte:

— Carlino!

Ma non vedendo uscir nessuno, andò nella strada brontolando.

— C’è ’sta carrozza? — domandò dal mezzo della scala una bella voce di contralto, che fece scattare Arabella dallo sgabello su cui s’era accovacciata.