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del temperamento gaio e superbo, le burrasche e le cattive stagioni di questa povera vita.

La bella creatura, agli occhi freddi e giusti di Arabella, parve riassumere quasi una massima, che ha le sue basi nella vanità delle cose e che si formola di solito in una domanda semplice e terribile: — Che cosa è la vita senza il piacere?

Arabella, dal suo posto, si saziò nei due o tre minuti che la carrozza tardò a venire, nell’esame spassionato di una donna così diversa da lei, contro la quale non sentiva quasi di nutrir odio, perchè costei nulla aveva rubato che fosse più caro a lei che ad altri, perchè in fondo la donna onesta sentiva che qualche cosa di comune la legava a quella leggiadra civetta nel disprezzo di uno scempio.

Olimpia, quando ebbe allacciato l’ultimo bottone, scese dallo scalino e, sempre canticchiando di stizza, venne verso la portineria, alzò gli occhi, che arrestò con curiosità su questi altri due occhi freddi che la guardavano. E quasi ammaliate l’una dall’altra, stettero poche battute a guardarsi così, a interrogarsi coi sopraccigli, finchè parve a Olimpia di scorgere in quell’occhio fisso una forza irritante che la turbò: dubitò un istante che la bella signora magra l’avesse con lei.

In quel mentre una carrozza si fermò davanti alla porta.

Arabella, suo malgrado, aprì l’uscio forse per andarsene, venne fuori, e si trovò in mezzo tra suo marito e la donna.

Lorenzo trasalì. Fu la scena muta di un minuto secondo, durante il quale Arabella ebbe agio di riconoscere la sua bella fornitura di corallo al collo