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— Dille che son disposta a tutto: a far scuola, a servire malati, a rattoppare dei cenci, a tutto, purchè sia in un luogo dove possa dimenticare quella che sono stata.

— Io farò quello che vuoi, ma promettimi che non dirai più cose spaventose. Tu mi hai fatto piangere anche Napo — Non piangere così, Napo... — prese a cantarellare al bimbo che strillava per conto suo — non ha detto sul serio la zia Arabella. Adesso l’hanno fatta soffrire ed è molto malata. Quando diverrai grande capirai anche tu, Napo, che cosa voglia dire soffrire. Anche tu ti troverai in mezzo a un mondo di tormentatori e di tormentati, ma non ti piacerà far piangere la gente, vero, Napo?

Sentendo che essa stessa non sapeva più resistere alla commozione, la buona Maria si portò il suo bimbo alla bocca, in atto di divorarlo, e soffocò i singhiozzi, asciugando alle carni molli le grosse lagrime, ripetendo la cantilena dell’Ara, bell’Ara, mentre Arabella stringevasi e contorcevasi come una foglia secca nel gelo della sua tristezza.

— Promettimi che non farai piangere nessuno — seguitò la mamma cullando il bambino stretto sulla faccia — e se gli altri faranno piangere te, vieni sempre dalla tua mamma, ve’, Napo: io ti beverò le lagrime, io mi piglierò i tuoi dolori, ma non maledire mai il giorno in cui ti ho messo al mondo, la mia creatura; non far questo torto alla povera tua mamma, che t’ha messo al mondo con tanti dolori e con tanta gioia. Tu non hai sentito quel che ha detto la zia Ara: non credere alle sue parole. Essa è troppo buona e troppo intelligente per ammettere che i cattivi all’ultimo abbiano a vincerla sui buoni.