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un’ultima testimonianza d’affetto a una creatura, che avrebbe continuato a volergli bene.

Quando il feretro stava per uscire dalla casa, arrivò un gran paniere di fiori. Il giardiniere della villa di Tremezzo, obbedendo agli ordini, mandava le più belle rose di primavera. Questi fiori, che un morto offriva alla sua infermiera, Arabella fece spargere sulla cassa e sul carro.



Sfinita da una settimana di veglie e di commozioni, mentre portavano il pover’uomo a seppellire, raccolse alcune cosuccie e si preparò a partire per le Cascine. Papà Botta si offrì di accompagnarla. Essa non aveva la testa per intendere altri discorsi e si limitò a scrivere poche righe all’avvocato e al prevosto, pregandoli di avviare quelle pratiche, che potessero più facilmente affrettare una conciliazione.

Di Lorenzo non una parola.

Lasciò la casa in custodia delle donne e venne via col sentimento di commiserazione, che ci accompagna all’uscire dal teatro, dopo aver assistito a un dramma morale che ci ha fatto piangere, e che al calar della tela non lascia dietro di sè che il senso delle lagrime, e la verità di un insegnamento.

Forse non sarebbe più tornata ad abitare in quella casa funestata dalla morte; o se anche avesse dovuto riporvi il piede, non vi sarebbe tornata più giovine. L’esperienza, figlia del tempo, invecchia più presto di suo padre.

Ai piedi delle scale s’incontrò in Ferruccio. Da due o tre giorni il giovine cominciava a uscir dal letto,