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— Eppure dicono che è una storia così comune. I romanzi non parlano che di tradimenti e di vittime. Legge lei dei romanzi?
— Non ne ho mai letti. Finchè studiavo da prete era proibito; e poi ho dovuto pensare alle mie tragedie.
— Ora è guarito...
— Sì, per grazia di Dio; ma per poco quel cane di uno sbirro non mi rompeva la testa. Vede ancora il segno? — Ferruccio indicò una lunga cicatrice sulla fronte, alla radice dei capelli tagliati corti. — Ma credo che il maggior male non sia la ferita: la morte vien sempre dal cuore. Per fortuna ci sono delle anime buone a questo mondo...
— Ci sono? — provò a chiedere Arabella, con un leggerissimo tono di scetticismo.
— Sì, ci sono. Guai a noi se non ci fossero. Che conforto avrebbero le anime che soffrono? Crede che nessuno abbia avuto compassione di lei? Quel giorno che ho aiutato a portarla in casa, pensando che fosse morta, ho pianto; quasi ho pregato che fosse morta davvero.
— Perchè?
— Non so spiegarmi. Mi pareva allora che a una morta si potesse voler bene più che a una viva.
Arabella tornò a fissare gli occhi lontano, e mormorò, rispondendo quasi a una lunga questione che ella facesse dentro di sè: — Può essere.
Ferruccio, colpito dalla gravità delle parole che gli erano uscite di bocca, quasi venisse meno a un tratto l’esaltazione dolente che l’aveva fatto parlare, si curvò sul muretto, e fissò gli occhi nell’acqua, provando la vertigine d’essere anche lui trascinato lentamente