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Questi discorsi avevano luogo in un basso ammezzato che serviva di anticamera allo studio del sor Tognino.

Una larga finestra, che occupava quasi tutta la parete, riceveva luce da una corte in cui l’aria colava con un color scialbo d’aria vecchia. In giro eran molte finestre che si guardavano in faccia.

La casa è un’alta e bella costruzione recente, posta quasi nel cuore della città, con molte belle botteghe verso la via Torino, con eleganti balconi al primo e secondo piano, con un portone signorile, su cui domina l’iscrizione cubitale d’un dentista tra due massicci denti molari. Sugli stipiti sono molti cartelli e lamine scritte, che danno all’edificio il carattere d’un gran magazzino.

Dalla parte degli ammezzati invece una porta secondaria viene quasi ad addossarsi alle logore costruzioni della vecchia Milano, e serve di sfogo ai retrobottega e agli appartamenti, a cui si accede per via d’una scaluccia sempre sporca e bagnata. Qui era lo studio del padrone di casa, ossia di colui che i casigliani riconoscevano per il padrone di casa, perchè a lui pagavano due volte l’anno la pigione; ma in realtà il signor Maccagno non era che rappresentante o subaffittario interessato d’una Compagnia di assicurazione, che aveva fatto poco buoni affari.

Dopo un po’ di silenzio la Colomba, che per la prima volta poneva il piede in quella tana, prese a dire: