Pagina:Archivio Glottologico Italiano, vol. 1, 1873.djvu/38

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XXX PROEMIO.

obiezione altrui può forse riuscirgli intelligibile. Nella Toscana o in Firenze, considerano altri operaj della civiltà che non sien gli uomini dell’Arte, appunto perchè ivi batte il cuore dell’Italia, spicca assai più che non altrove il carattere distintivo della cultura italiana, che è il concentrarsi della luce nei grandi, in mezzo all’ombra o alla penombra generale; sì che dobbiam patire che lo straniero noti, come la patria di Dante, di Machiavelli e di Gino Capponi, resista pertinacemente ai tentativi che mirano ad accrescervi la diffusione del sapere; e come gli Atto Vannucci fioriscano in un ambiente, che insieme riesce così contrario alla vegetazion dell’alfabeto. Ma ciò non istoglie punto l’artista dal chiedere affannosamente, e senza mai mostrare alcuna esitanza, che di Toscana, o da Firenze, debbano a furia farsi uscire legioni intiere di maestri elementari, i quali si spargano a educar tutta l’Italia; egli vuole alle Alpi un apostolo qualunque della pronuncia e della frase fiorentina, laddove l’Europa dice, che l’Italia politica e pensante debba piuttosto far calare gli Alpigiani nel circondario di Firenze, a diffondervi la lingua della penna. Ned è certo illegittimo un qualche sgomento che il fenomeno di questa nuova esaltazione dell’Arte desta per sè stessa in molti pensatori italiani. Prima si aveva (e dura ancora per molti) l’ideale della tersità classica; ora sorge l’ideale della tersità popolana; ma è sempre idolatria;, lo scrivere correttamente rimane sempre, malgrado la vantata sicurezza delle contrarie norme, una cosa che sa di miracolo, una cosa da perigliarvi la vita; e gli scrittori utili ma non-artisti, che sono o dovrebbero essere i più, e quindi i più decisivi in ordine all’uso nazionale, trascorrono, per naturale reazione, all’eccesso opposto, e ribellandosi legittimamente a una religione che scomunica, cioè dà del barbaro, a chi non fa miracoli, trascendono a vantarsi di non avere culto alcuno e di barbarizzare. Prima,. quando lo scrittore timorato aveva la fatalità d’imbattersi in una idea, o meglio di rasentare una di quelle regioni ideali, che il pensiero italiano o il pensiero dei classici non aveva ancora conosciuto, e doveva perciò usare una qualche parola che non fosse, nella Crusca e tradisse un qualche nuovo fenomeno della civiltà uni-