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152 G. Ricci

trovava organizzata in corporazioni. Si voleva assolutamente romperla col papa e riordinare lo stato della città: questo malcontento il popolo lo dimostrava nell’occasione dell’elezione del senatore. Il papa sosteneva Carlo d’Angiò, il popolo Manfredi: concorreva come candidato anche Pietro d’Aragona. In mezzo a questi torbidi in Roma si era costituito un governo popolare di ventisei boni viri o boni homines1, scelti dal popolo, due per rione. Le maestranze delle Arti non rimangono indifferenti a questo movimento rivoluzionario, anzi ottengono che i consoli dei bobacterii e dei mercanti sian chiamati al governo per le nuove riforme. È interessantissimo, a questo riguardo, il paragrafo 145 degli Statuti dei mercanti:

Item cum reformatum, stabilitum et declaratum fuerit per consules bobactariorum et mercatorum Urbis et.xxvi. bonos viro selectos per romanum populum ad reformationem Urbis et Artium Urbis, quod .xiii. Artes erunt in Urbe, inter quas esset una Ars, mercatores, lanaroli2.

I consoli delle due Arti ebbero dunque non solo l’incarico di riformare le Artes Urbis, cosa che loro si conveniva, come le più potenti della città, ma l’Urbem medesima, ciò che implica un vero ascendente politico esercitato da esse.

Quali fossero le riforme dello stato comunale noi non sappiamo: conosciamo invece la riforma apportata nell’organismo delle corporazioni. Si prese a base l’ordinamento dell’amministrazione civica: questo nuovo ordine delle Arti permetteva un più facile accordo col sistema elettorale, coordinando la partecipazione delle Arti nei con-

  1. Vitale, Stor. dipl. dei senatori di Roma.
  2. Gatti, Stat. p. 32; v. anche Martene, Anecdota, II, 26, dov’è riportata una lettera di Urbano IV ad Alberto, notaio della Sede romana (11 agosto 1263), nella quale si legge: «intellecto, quod illi boni homines, qui Urbem ad praesens regere ipsiusque statum reformare dicuntur» &c.