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56 i porti della maremma senese

palesandosi solamente impotenti a pagare la somma loro richiesta. Ma la buona ventura volle che tanto pericolo si dileguasse d’un tratto. Il 2 dicembre re Carlo entrò in Siena con grandissima pompa, ed ebbe dai cittadini accoglienze festose e solenni. Narrano che a capo la porta fiorentina, per la quale il re fece l’ingresso, un fanciulletto in abito rappresentante la Vergine, cantasse alcuni versi accompagnato dal suono di vari istrumenti; e che Carlo, rispondendo il giorno dipoi alla Signoria ch’era andato a visitarlo ed a supplicarlo in favore della città, dicesse che alla Città della Vergine non voleva dare afflizioni, ne chiedere denari ne altro; e si offerì ai comodi della repubblica, aggiungendo che come eglino erano buoni francesi, così egli voleva essere buon senese1. E non fu atto spontaneo di generosità questa rinuncia, ma fu avvedimento politico, che già minacciavasi la lega delle potenze d’Italia contro di lui, ed il possesso di quei Porti non valeva la inimicizia della repubblica.

Nel governo dei popoli, come nel regno della morale, chi ha percorso ostinatamente la via dell’errore, a fatica se ne dilunga, ancora che l’esperienza abbia chiarito i danni di tale ostinazione. Più volte i Senesi aveano provato esiziale alla prosperità dei loro Porti l’abbandonargli alla ingordigia di speculatori, di nient’altro solleciti se non che di trarne il maggior profitto possibile. Eppure, dimenticando tutto questo, al primo esordire del secolo decimosesto, il governo della repubblica vendè per un decennio ad Alessandro di Galgano Bichi tutte l’entrate di Talamone e Port’Ercole, mercè il prezzo di quattromila cinquecento fiorini. Lo stesso erasi fatto poco innanzi pel Monte Argentare, il cui uso aveva comperato lo Spedale di S. Maria della Scala. Era tra i patti di quella vendita l’obbligo nel Comune di dare al Bichi ed a’ suoi compagni di compra le artiglierie necessarie alla

  1. Tommasi, Ist. Sen., Part 2.a, Lib. VII, ad annum.