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378 del monte di venere

chè per quanto colpevole sia, esso può esser salvato dalla misericordia divina. Così termina l’antico canto1 coll’idea espressa nella Divina Commedia:

«Per lor maledizion' sì non si perde
Che non possa tornar l'eterno amore.
Mentre che la speranza ha fior del verde».

Non tutto però è gioia e delizia nel monte. Ne procedono ancora grida di dolore e di disperazione, tremendi suoni simili ai gemiti ora cupi ora stridenti, quali escono dalle caverne dell’Alpi invase dall’impeto delle tempeste. Epperciò per doppio motivo, e per lusinghe e per minacce, convien fuggire la vicinanza di tali luoghi in ogni modo pericolosi, dove il godimento colpevole non va esente dalla punizione. Ai viandanti smarriti nella solitudine non manca l’ammonitore, il quale cerca stornarli dal pericolo inseparabile dalle sbrigliate passioni. Esso è il fido Eccardo (der getreue Eckhart), vegliardo seduto presso la caverna che dà adito all’interno del monte. L’Eccardo, nome rimasto proverbiale per savio ammonitore, è tra i tipi più popolari della poesia alemanna , la quale l’ha riprodotto in molti modi, anche piuttosto arbitrari, dal medio-evo insino al Goethe e a Lodovico Tieck. L’origine ne è di gran lunga anteriore a quella del Tanhäuser, incontrandosi di già nelle tra-

  1. «Tanhäuser» nei canti popolari raccolti da L. Uhland [Teutsche Volkslieder, Stuttg. 1845, pag. 761-772) e nelle tradizioni pubblicate da J. e W. Grimm (Teutsche Sagen, II. ediz. Berl. 1865, voi. I, pag. 214). Una versione senza dubbio piuttosto moderna della tradizione accenna a Papa Urbano IV, 1264-68, mentre verso la metà del dugento vien menzionato in Germania un poeta nobile (Minnesänger) del nome del Tanhäuser, oriundo dei monti di Salisburgo, cavaliere gaudente il quale sperse il suo patrimonio nelle feste e colle donne, quantunque fosse stato in pellegrinaggio a Roma e a Gerusalemme. J. G. T. Graesse, colla solita diligenza maggiore della critica, ha raccolto tutto ciò che spetta a siffatta tradizione (Dresda 1846 e 1861).