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150 aneddoti e varietà


L’ultima volta che si fa cenno del Balsamo nel carteggio del Bottini è il 10 marzo 1792, in cui dice: «Il celebre Cagliostro, nell'ozio della sua carcere, avendo estratto da un tavolato un vecchio e rugginoso chiodo, ha saputo renderlo a tal pulimento, taglio e punta, senza aiuto d’istrumenti, che sembra uno stiletto di fino acciaio. Questo ferro è presso l'Em.mo Segretario di Stato, che ha dato ordine d’invigilare maggiormente sulla di lui custodia».

Dopo una prigionia di quattro anni, quattro mesi e cinque giorni finì miseramente la vita il 26 agosto del 1795. La sua morte trovasi descritta in una lettera del cav. Luigi Angiolini, Ministro residente del Granduca di Toscana presso la Corte di Roma, de’ 4 di settembre di quell’anno. «Alla fine» (cosi scrive) «quel Cagliostro, che, per aver fatto credere a molti che viveva ai tempi di Giulio Cesare, ebbe una celebrità e un partito, è morto nella Fortezza di S. Leo nello scaduto 26, per apoplessia. Non dovendo perciò esser sepolto in luogo sacro, quel provvido Castellano Semproni, credendo forse che il ciarlatanismo ne imponga dopo morte come in vita, l’ha fatto seppellire in un legnaio, dove gli erano sempre rubate le legna, all’oggetto che i ladri possano, in avvenire, avere spavento d’uomo così temuto, nell’approssimarvisi».

Don Luigi Marini, che era arciprete della città di S. Leo appunto nel 1795, afferma invece (e c’è da credergli) che venne interrato sulla sommità del monte, sul quale sorge il castello, dal lato che guarda occidente, «aequa fere distantia inter duo monumenta habendis exuviis destinata, vulgo nuncupata il Palazzetto ed il Casino», dove, secondo la tradizione vivente, si lasciavano marcire le carogne1. Se il famoso avventuriere fosse stato padrone della scelta, avrebbe senza dubbio preferito il legnaio!

Del resto, sembra che il Castellano di S. Leo in quel tempo non fosse il Semproni, come dice l’Angiolini, ma piuttosto un Gandini. Debbo questa notizia alla squisita cortesia del sig. G. De Luca, che il 10 aprile del 1883, parlandomi di Cagliostro, tra l’altre cose, mi scriveva: «Il figlio del Gandini viveva

  1. Silvagni D. La Corte e la società romana nei secoli XVIII e XIX; I, 320.