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392 aneddoti e varietà

di fortune più volte sollevato alla dignità di doge in Genova sua. Probabilmente da lui fu mandato in sul finire dell’anno 1463 in Corsica al vicariato di Biguglia colla missione di dar opera a ritenere in fedeltà gli isolani, i quali fin dal 1460, ribellati al Banco di San Giorgio, obbedivano pur renitenti alla famiglia dei Fregosi e, per essa, a Tomasino, nipote di Lodovico. Tornando dall’isola l’Ivani nell’aprile del ’64 potè vantarsi di aver adempiuto, per quanto stava in lui, all’incarico affidatogli, difficile incarico, tra così varia e torbida condizione di uomini e di cose. Pure l’opera sua non era destinata a lasciare traccia, nè a rialzare il dominio dei Fregosi che, incerto e mutabile entro Genova stessa, era affidato in Corsica alle mani di tale cui forse mancava animo pari all’impresa: talchè l’isola anch’essa, seguendo l’esempio della Liguria passava in breve nelle mani più forti del duca di Milano, Francesco Sforza. Profughi il doge Paolo Fregoso, e Lodovico, e Tomasino, vissero a lungo in esiglio, ridotti i due ultimi per far denaro a vendere a Piero de’ Medici Sarzana e Sarzanello e altri castelli che appartenevano a loro da lunghissimo tempo; tornarono più tardi in alto, e Tomasino riebbe per qualche anno la Corsica, ma senza riuscire a conservarla nè a sè nè ai suoi. L’Ivani rimasto con Lodovico fino al 1466, passò a Volterra, dove prestò al comune l’opera sua fino alla guerra fatale; poi dette il suo tempo alla storia degli avvenimenti a cui egli aveva assistito in Toscana. Più tardi poco altro sappiamo di lui1.


  1. Giova qui riportare le poche lettere, che abbiamo potuto trovare sulla missione dell’Ivani in Corsica, lettere non inutili alla storia degli avvenimenti d’allora e della vita del nostro.
    1. [Antonius Yvanus Nicodemo Tranchedino salutem].
    «Postquam scripsi ad vos ultimis meis ac prolixis litteris, decrevere qui potuerunt, ut in Corsicam repentino hoc recessu traiiciar, ac prope iam birrerem conscendo. Equidem nullo pacto credebam utilis existimari ad insulanos in fide retinendos, cum ab illorum vita moribusque haud parum dissentiam. Necesse erit mihi, scio, rem difficilimam aggredi, quod erit contra naturam meam contendere et alius effici quam hucusque fuerim. Doleo tam infortunatum et inexpectatum casum, cum tuciorem ac sane digniorem vitam vestro medio expectarem; verum parere oportuit sic omnino volentibus. Vobis hec nota facio tanquam venerando parenti et amico optimo, et ut Cichus,