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Discorsi 183

baldi, nel cui volto ha sfolgorato più vivo che altrove il genio dell’Italia risorta.

Già nel ’48 il nostro eroe apparisce, ajuto improvviso, nella prima nostra insurrezione e batte alla Beccaccia gli austriaci, che tornavano vincitori dal quadrilatero che li aveva salvati; e s’invola che non possono prenderlo. Come un fulmine che cade inaspettato, e colpisce e schianta, e nessuno più lo vede.

D’onde veniva?

Dal mare. Figlio di marinajo, marinajo anch’esso, era vissuto fino allora correndo il mediterraneo, il mar nero, l’atlantico, le acque dell’America del Sud; dove aveva esulato proscritto per amore del proprio paese.

Garibaldi veniva dal mare, che fu la sua scuola; come fu sempre la scuola dei forti e dei liberi.

Qui entro terra tutto è impedimento e prigionia. Il colono lavora confinato tra i fossi che corrono intorno ed un campo. L’operajo si chiude l’intera giornata nello spazio angusto di una officina, e vede il sole per poco, solamente se questo, passando, schizza alcuni raggi per la finestra. Tutti più o meno oscilliamo avanti e indietro, come il pendolo di un orologio, nell’ambito ristretto della nostra abitazione, o delle poche vie della nostra borgata. Le poche volte che volessimo andare un po’ lontano, ecco che guardie alle porte della città, ai confini dello Stato.

Andare attorno? Ma, uscito un poco, leggo subito da una parte: Di qui non si passa; e dall’altra: Proibito di toccare.

Fermiamoci dunque. Ma no; perchè, se vai per la strada, lecito è il passaggio, impedito il fermarsi. E se vuoi, stanco, posare nel tuo letto, — via subito di qua — grida il padrone cui non pagasti l’affitto.

Libero di andare e di stare a suo piacimento, e signore della natura è l’uomo solo sul mare. Esso è di tutti; esso non ha confini. Vi è libero il sole, vi è libero il vento, vi è libero alla vista l’ampio orizzonte, vi è libera la vita.