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192 Scritti vari

E tremila lo seguiremo risoluti fuori di porta S. Giovanni. E, senza sapere, senza domandare dove s’andasse, marciano silenziosi sulla via tiburtina.

Forti infelici! Voi siete un pugno di uomini, e contro di voi si sono levate cinque potenze: Francia, Napoli, Spagna, Toscana, Austria.

Triste marcia; che, sebbene guidata con ammirabile sapienza militare, si chiude il 31 luglio, al confine della repubblica di S. Marino.

Garibaldi aveva venduto l’orologio per supplire ai bisogni propri e dell’Anita, che volle essergli compagna anche in quell’aspro cimento. Invano l’accerchiano, credendolo preso senza scampo, le file raddoppiate degli Austriaci. Inseguito tra le salse paludi sopra Ravenna, colla moglie incinta e côlta da febbre perniciosa, senza neanche una goccia d’acqua per calmarne la sete divorante, deve portarla sulle sue braccia, deporta nella capanna di un pastore sull’orlo di un bosco, poi tragittarla con una barca ad una casa sulla laguna di Comacchio, dove l’adagia sul letto del fattore. Povera Anita, era già morta!

Garibaldi si prosta davanti a quel cadavere e un pianto disperato gli inonda il fiero viso. Scava una fossa nell’orto e vi seppellisce la cara immolata alla patria; e via subito, chè i croati e i gendarmi gli arrivano sopra. E via e via. E torna al mare.

Torna al mare, per ricomparirne poi più terribile, come la tempesta che sorge tuonando dagli ignoti suoi orizzonti.

Nel 67 i francesi erano ancora in Roma col papa. Si leva il grido: «Roma o morte!». Garibaldi la notte dal 16 al 17 settembre a Caprera porta da solo un canotto frusto e fuori d’uso in mare, vi si carica dentro per non essere veduto, lo manovra con una spatola, e scivola invisibile in mezzo ai legni che lo guardavano che non passasse.

Poi veleggia alla costa toscana e approda a Vado.