Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/241

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Veggo lá in disparte la Natura esterrefatta, sterilmente raccolta ne la sua etá decrepita. Veggo il Tempo asciutto e tremante, che, per esser giunto al suo termine, siede sopra un tronco secco. E, mentre sento da le trombe degli angeli scuotere i cori di tutti i petti, veggo la Vita e la Morte oppresse da spaventosa confusione, perché quella s’affatica di rilevare i morti e questa si provede di abattere i vivi. Veggo la Speranza e la Disperazione, che guidano le schiere dei buoni e gli stuoli dei rei. Veggo il teatro de le nuvole colorite dai raggi, che escono dai puri fuochi del cielo, sui quali fra le sue milizie si è posto a seder Cristo, cinto di splendori e di terrori. Veggo rifulgergli la faccia, e, scintillando fiamme di lume giocondo e terribile, empier i ben nati di allegrezza e i mal nati di paura. Intanto veggo i ministri de l’abisso, i quali con orrido aspetto, con gloria dei martiri e dei santi, scherniscono Cesare e gli Alessandri, ché altro è l’aver vinto se stesso che il mondo. Veggo la Fama, con le sue corone e con le sue palme sotto i piedi, gittata lá fra le ruote dei suoi carri (0. E in ultimo veggo uscir da la bocca del Figliuol di Dio la gran sentenzia. Io la veggo in forma di due strali, uno di salute e l’altro di dannazione; e, nel vedergli volar giuso, sento il furor suo urtare ne la machina eiementale, e con tremendi tuoni disfarla e risolverla. Veggo i lumi del paradiso e le fornaci de l’abisso, che dividono le tenebre cadute sopra il volto de l’aere. Talché il pensiero, che mi raprescnta l’imagine de la rovina del novissimo die, mi dice: — Se si trema e teme nel contemplar l’opra del Buonaruoti, come si tremará e temerá quando vedremo giudicarci da chi ci dee giudicare? — Ma crede la Signoria Vostra che il voto, che io ho fatto di non riveder piú Roma, non si abbia a rompere ne la volontá del veder cotale istoria? (1) Seguo qui M*. Invece ha: «Intanto veggo i ministri de l’inferno, che, per aver ristituite l’anime, che tormentavano, ai lor corpi, con orrido aspetto, armali di crudeltá, scherniscono la Fama, proverbiata da la Vanagloria. Ed ella, con le sue corone e con le sue palme sotto i piedi, con le ali speuuachiale, si gitta fra le ruote dei suoi carri».