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CCLIII

AL CAPITANIO VINCENZIO BOVETTO

Gode dei suoi progressi nella milizia, e ricorda Giovanni dalle Bande nere, di cui il Bovetto fu allievo. Io, che ho sentito d’ora in ora i portamenti de la gioventú vostra in Affrica, in Francia e pcrtutto dove è stata guerra, ho lodato e ringraziato la elezzione che fece il militar giudizio del gran Giovanni dei Medici, quando, compresi i modi de Tesser vostro, deliberò farvi soldato; il che ora mi piace tanto quanto alora mi spiacque. Ben sapete con quanta cura e con quanta amorevolezza io ve ho allevalo, né facendo differenza da un amor paterno al mio, v’ ho conosciuto per proprio figliuolo; e tanto piú cresce Taffezzion del mio core quanto piú ringrandiscono le vostre vertú. Certamente, da me imparaste la bontá, la generositá e Tanimositade; e perciò séte amato, lodato e temuto. Io piansi nel racontarmi la gentilissima signora Lucrezia da Correggio e il cortese signor Manfredo, consorte suo, la modestia de la natura ch’avete e il pregio dei suoi costumi. Ma io non capisco in me stesso nel racontarmisi le prove fatte da voi con somma reputazione del mestier de Tarmi; talché io spero vedervi un di nel grado che io desidero. Atendete pure a servire il nostro magnanimo signor Ippolito, il quale saviamente procede fuor de la via comune, perché chi va per l’altrui orme, non fa mai segno in terra che possa chiamarsi de le sue pedate; e chi vói diventar qualcosa in cotal essercizio, è lecito fino al far male. Tutti i principi son creature de la violenza, e senza essa la ferocitá del soldato diventa mansuetudine fratesca. Niuna vertú ha in sé la milizia di piú riguardo, né piú conveniente a servargli il decoro de le degnitá sue, percioch’ella, nel maturare i furori che la movono, si converte in gloria. Si che Sua Signoria, a cui prego che mi