Pagina:Aretino, Pietro – Il primo libro delle lettere, 1913 – BEIC 1733141.djvu/48

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solenni, le quali furono idee de la lor fortuna e scienze de la ignoranza di tali asini. Benché guai a la poltroneria di ciascuno, se fussero stati dotti, sobri e savi! perché la dottrina, la sobrietá e la saviezza è la palla a vento dei principi. E beato colui che è pazzo, e ne la pazzia sua compiace ad altri e a se stesso! Certamente Leone ebbe una natura da estremo a estremo, e non saria opra da ognuno il giudicare chi piú gli dilettasse, o la vertú dei dotti o le ciance dei buffoni; e di ciò fa fede il suo aver dato a l’una e a l’altra spezie, esaltando tanto questi quanto quegli. E, quando a me si dicesse: — Che vorresti tu essere stato servendogli — come sapete che gli servii: — Virgilio o l’archipoeta? — risponderei: — L’archi, messere; — perché egli acquistava piú, seco beendo in Castello, di luglio, il vin temperato con l’acqua calda, che non arebbe guadagnato ser Marone, se in laude sua avesse fatto duemillia Eneide o un millione di Georgiche. E non è dubbio che i gran maestri amano piú i forti bevitori che i buoni versificatori. E a Vostra Signoria mi raccomando.

Di Venezia, il io di ottobre 1532.

XXXII

AL MARCHESE DEL VASTO

generale di Cesare. Ringrazia del dono di cento scudi. Quando io mi credo che Vostra Eccellenza mi doni in grazia lo scarico de le obligazioni che le tengo, ecco la cortesia di Quella che mi accresce il peso con la soprasoma di cento altri scudi, sborsatimi da messer Alberto del Saracino. Onde io, che son debile a sostenerla, la sopporto in ginocchioni, a usanza di camello; né mai potrò sullevarmi, se il perdono, che le chieggo per ciò, non mi dá di mano: ma, cosi come mi ritrovo, le faccio riverenza.

Di Venezia, il 18 di ottobre 1532.