Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/141

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consigliar il saggio Augusto, ma gli ramento ciò perché anco i forti sono spaventati da l’orrore dei casi. E, quando sia che il fine di questa e di quello vi sforzi l’affetto de la pietade a sospirarne, siamo certi che lo farete in modo che il valore e il senno, riserbato in voi per i bisogni dei popoli di Giesu, non si consumerá nel piangere quella donna, che, vivendo, mai non offese alcuno e, morendo, ad ognuno ha fatto ingiuria. A tutti giovò la clemenza de la sua vita e a tutti ha nociuto la innocenza de la sua morte, peroché con l’una ha fatto uomini e con l’altra gli ha disfatti. È chiaro che l’anima santa è stata ricchezza de le comuni speranze, ed è debito d’altrui lo esclamare la caritade, la mansuetudine e l’amore, con cui la illustre memoria remunerava le servitú, essaudiva le supplicazioni e abbracciava le fedeltá. Per il qual merito la beatitudine, che ella sente in cielo, avanza la felicitá che ella provò in terra; percioché la fortuna può tanto meno di Dio quanto Iddio puote piú de la fortuna. Si che doviamo consolarci di cotal suo accidente, perché ella, invece di stati e di gradi, pioverá sopra gli afflitti nembi di grazie e di salute, e, adimpiendogli i voti ne la maniera che gli aiutò i disagi, ci sará lá suso di piú favore che non ci è suta qua giuso d’utile. Ma chi dubita che senza divin mislèrio la violenza del parto non ci abbia tolto cotanta imperatrice, n’ è risoluto da la stella apparita con insoliti crini nei giorni del suo transito. Veramente il ratto di Creusa non portò seco augurio simile a quello che asconde in sé lo andarsene in cielo d’isabella, a le soprane bontá de la quale ha donato Iddio il trono che lasciò vóto il primo angelo, accioché ci sieda tanta umiltá quanta ci sedè superbia. E, per piú colmarla di gloria, mentre che ella racconta a Iosue, a David e agli altri duci de le milizie eterne le stupende imprese che faranno per Cristo le arme religiose del fatai Carlo, l’alma Beatrice, sorella sua, la sparge dei gigli celesti. Intanto lo spiritello, la cui puritá ha prima veduto lo immenso paradiso che il grande universo, e inanzi ha conosciuto Iddio massimo che il padre magno, risplende nei grembo de la immortai madre. Certo che il suo non avere assaggiato la dolcezza del vivere