Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/159

Da Wikisource.

in mano venti soldi, con dire: — Tanti ne avrete il di, acciò potiate mangiare a le vostre ore, — rispose: — Tenetevegli pure, percioché io son venuto qui per servire Sua Eccellenza, né avendo a far altro che aspettarlo a mangiare, non penso perderne bocone. — Benché neanco le facezie ci tolgono da 10 invecchiare né dal morire, è ben vero che lo star sempre in su le spensieraggini giovenili fa ir zoppo il tempo, la bona memoria del quale ci va castigando senza veruna misericordia. 11 manigoldo l’ha con meco; ma io, a l’onta sua, adoprarò la volontá invece de la forza, amando in eterno, percioché niun vivente ha potuto totalmente fuggire amore e, finché sará la bellezza e che vederanno gli occhi, non fia chi possa fuggirlo. Salvo la grazia di Reggio, ésca e visco dei cori bestiali e mansueti. Si Ercole ci passava un tratto, non che filato, avria fatto il pane, lavato le scudelle e voltato gli arosti. Ecco: Marte de’ Medici ci irruggíni la corazza, la spada e gli speroni; e, se la guerra reale e imperiale non era, diventava castaido di Ruolo. Reggio da bene, Reggio cortese, io ho la istessa voglia di rivederti, che avea quella tremenda memoria di esaltarti! Né so quale tenga piú parte ne la mia cordialitá, o egli o Arezzo, che mi è patria. La sua aria è salutifera, il suo sito fertile, i suoi uomini signorili, le sue donne affabili e le sue facultá comuni. Egli è tale, che può rompere il certo, che io tengo, di non partirmi mai piú di queste acque inclite e stupende. Ma sará mai che, postici a sedere in triangolo voi, il cavalerotto e io, consumiamo un mese in repetere ciò che ne è incontrato, da che non ci vedemmo?

Di Vinezia, il 6 di luglio 1539.