Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. II, 1916 – BEIC 1734657.djvu/119

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intrinsiea tenerezza, che sará di me in quel punto che Cristo mi fará dono del potervi stampare i basci de l’affezzione ne l’una gota e ne l’altra? Per Dio, che egli è si fatto il desiderio ch’io tengo in far ciò, che lo metto ora in opra con la veemenzia del pensiero; onde mi par veramente gittarvi al collo le braccia, e, nel cosi parermi, i miei spiriti, commossi da la isviscerata caritá de l’amicizia, ne dimostrano segno, non altrimenti che la imaginazione fusse in atto. Ma chi non se risentirebbe nel pensare agli andari nobili de la conversazione di voi, che spargete la gioconditá del piacere negli animi di coloro che vi praticano con la domestichezza che, a Perugia scolare, a Fiorenza cittadino e a Roma prelato, vi ho praticato io? che rido ancora de lo spasso che ebbe papa Clemente la sera che lo spinsi a leggere ciò che giá componeste sopra gli «omeghi» del Trissino ; per la qual cosa la Santitade Sua vòlse, insieme con monsignor Bembo, personalmente conoscervi. Certo che io ritorno spesso con la fantasia ai casi de le nostre giovenili piacevolezze. Né crediate che mi sia scordato la fuga di quella vecchia, che isgombcrò il paese, impaurita da la villania che, di bel di chiaro e di su la finestra, voi gli diceste in camiscia e io ignudo. Ho anco in mente il conflitto ch’io feci in casa di Camilla pisana, alora che mi lasciaste ad intertcnerla; e, mentre me ne ramento, veggo il Bagnacavallo, il quale mi guarda e tace, e, guardandomi e tacendo, odo dirmi dal suo stupire de la tavola arroversciata : — Egli ci sta bene ogni male. — Intanto sento la felice memoria di Iustiniano Nelli* cader lá per allegrezza di tal rovina; come caddi io per la doglia, tosto che intesi il suo esser morto a Piombino: danno grande a Italia tutta, nonché a Siena sola. Imperoché egli, oltra il possedere la eccellenza e dei costumi e de la dottrina e de la bontadc, fu non pure uno dei primi sostegni de la propria republica, ma dei piú perfetti fisici che mai curasse infermitade umana. Si che onoriamolo con l’essequie de le laude, da che noi, che gli fummo fratelli in dilezzione, non lo potiamo riverir con altro. Di Vinezia, il 26 d’ottobre 1541.