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DCLXXXI

AL SIGNOR ANTONIO FOLINO

Grato al Polino dei benefici ricevuti, è lieto che i meriti di lui sieno stati cosi ben riconosciuti dal re Francesco. Del non ci essere la maggior tirannide di quella che usa l’umanitá de la cortesia ne fa fede, o capitano illustre, la rapina con cui la cortesia de l’umanitá vostra ha fatto de la mia aflezzione: onde, de libero, son diventato servo. E, perché il benefizio è catena di chi lo ricevi, mi sento in modo legato da la liberalitá di voi, che niuna altra, per grande che sia, non è per mai disciogliermene. Ma come è possibile che il custode di si alti secreti e lo esibitore di si stupendi negozi, il quale non tiene agio de prendere il cibo né ’l sonno, si abbia potuto rivolgere inverso di me con tanta benignitá e con si fatta gratitudine? Benché da un tal cavaliere, che solo attende ad esser laudato nel desiderar cose degne e preclare, si ritrá sempre il bene che si spera. Ma perché non so io dire quel che voi sapete fare? Certo, se mi fusse dato facoltá di esprimere il mio concetto, esplicarci talmente la vostra singular prestanzia, che il mondo giudicarebbe le prosperitá de l’animo, che vi regge, felici augúri de le imprese reali. Ma, poiché per me non si può altro, non debbo tacere il contento, nel quale la caritá dei vostri meriti e de le vostre lodi ha posto la virtú e la fortuna. Io dico ciò, imperoché questa si diletta nel vedere con che celeritade ascendete i gradi dei suoi onori, e quella si compiace nel conoscervi un chiaro essemplo de le sue modestie. Intanto la integra bontá di voi, per sapere che lo accomulare genera invidia e il dispensare partorisce gloria, attende a cingere il cor dei buoni coi lacci de la larghezza; onde ognuno ama e osserva la mansuetudine de la valorosa e prudente Signoria Vostra con il fervore che l’osservo e amo io.

Di Vmezia, il 13 di aprile 1542.