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I
Lo straordinario successo del primo libro delle Lettere doveva, naturalmente, invogliare l’A. a far seguire ben presto a quel fortunato volume un altro simile, cui era da presumere che la sorte avesse arriso in modo egualmente benigno. Tanto piú che codesta sarebbe stata assai favorevole occasione per dare la migliore delle lezioni a quel «gaglioffo» di Niccolò Franco, il quale, ponendosi anche lui a scrivere e pubblicar Pistole , aveva osato, nientemeno, voler fare la concorrenza al temibile e temuto suo maestro d’una volta. E invero fin dal giugno 1538 l’A. doveva aver qualcosa di simile per la mente, giacché, scrivendo a un amico, gli annunziava che il secondo libro delle Lettere non sarebbe troppo tardato a venir fuori ( 0 . Ma evidentemente si trattava ancora di un disegno in aria, senza alcun principio di esecuzione: tanto che, quattro mesi dopo, l’A., nonché dare alla luce l’annunziato secondo libro, si limitava a pubblicare una nuova edizione del primo, nella quale introduceva quelle modifiche e quelle giunte, di cui si è discorso nella Nota al precedente volume (*). Bisogna saltare all’agosto 1541, perché il disegno concepito fin dal 1538 cominci a diventare un fatto compiuto. Ormai l’A. aveva circa trecento nuove lettere (e talune assai belle) da esibire al pubblico; e aveva trovato, o creduto di trovare, in Lodovico Dolce (che tra i suoi tanti mestieri letterari faceva anche il curatore di testi) chi, risparmiandogli qualsiasi fatica, avrebbe saputo assai bene preparare quel materiale disordinato per la stampa e vigilare a questa, ponendo cura speciale nell’ interpunzione, alla quale sembra che il nostro autore tenesse in modo particolare ( 3 ). Come egli (!) Si veda la lettera del a.} giugno 1538 a Iacopo Casola (1, 49). (a) Pag. 414 sgg. (3) Lettera al Dolce del 1. settembre 154! (il, 100): «Veramente una opra bene scritta e ben puntata è simile a una sposa bene adorna e ben polita*, ecc.
