Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. II, 1916 – BEIC 1734657.djvu/66

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rimasto d’inchinarmivi con l’umiltá de le lettre per essere ismarito ne le contemplazioni di ciò, ma per lo stupore in cui mi ha posto il profondo misterio del transito vostro in Francia. E, se bene a voi, che séte tanto piú che uomo quanto il resto degli uomini son men che iddii, i miracoli son facili, nel pensar io a si supremo, a si mirabile e a si stupendo caso, ho in modo alienato me stesso da me medesimo, che a pena tengo il possesso di me proprio. Ed è chiaro che, si come la mente è core del core e anima de l’anima, cosi tal atto sará fama de la fama e gloria de la gloria: onde chi non ne ammira secondo il merito, simiglia un di coloro, che, subito che gli è mostrato il vero, esclamano il pregio di quelle figure o di quegli intagli, che la lor ignoranza biasimava. Conciosiaché quanta fiducia, quanta prudenzia e quanta generositá fu giá, è adesso o sará mai, viene anullata da la risoluzione, dal senno e da l’animo, che sicuramente, saviamente e virilmente vi scòrse in Gallia. Onde la grandezza di cotal fatto è si smisurata, che, a compcrazion di lei, lo infinito par breve e lo immenso poco. Ma, perché il bel fine del fatai passaggio conrisponde al suo prospero mezzo e al suo felice principio, bisogna dire che voi con ogni dovuta circunstanzia aviate servato decoro conforme a la vostra fortuna e usato uffizio condecente a lo esser di voi: talché fino a la oppenione, che disepara l’utile da l’onesto, giura che il progresso di si nobile procedere è suto debito del vostro grado e non astuzia del vostro consiglio. Né tenti la invidia di ombrarlo con le nebbie de la menda, peroché non puote negate che il sire cristianissimo non debba restarvene con incredibile obligazione; avenga che non era per mai comprendersi l’ampio pelago de la bontá di lui, se voi, imperatore massimo, con lo arischiarvi ne le mani sue, non ne rendevate lucida testimonianza: onde non pur avete remunerata la sinceritá d’ogni sua cortesia, ma glorificatala ancora. Or io non favello de la temeritá, che dice che la Sua Corona doveva prevalersi de l’occasione: ché, quando bene la reai integritá non fosse di quel candor puro nel qual permanerá sempre il «si» eterno de la parola sua, non averebbe potuto farlo. Peroché, oltre Tesser voi munito dal presidio di