Pagina:Ariosto, Ludovico – Lirica, 1924 – BEIC 1740033.djvu/118

Da Wikisource.
112 iv - capitoli

XX

Fermo e costante, persisterá nel suo amore, sicuro di vincere
che una rocca di fè mai non si atterra.

     Quel fervente desio, quel vero ardore
che diè principio e mezo a’ desir mei,
dará ancor fine a’ miei stenti e sudore.
     Né curo i sospir piú, né tanti omei,
5né le minacce, ire, téme e paura,
l’abisso, il mondo, il ciel, uomini e dèi;
     ché una fondata ròcca, alta e sicura,
mi guarda il regno mio, detta costanzia,
che ferro in fuoco a martellar non cura,
     10Li fondamenti, ove si posa e stanzia,
son di stabilitá viva fermezza;
la calce e pietre è sol perseveranzia;
     l’inespugnabil mur viva fortezza,
le sue difese, scudi e bastione,
15son fé che ogni timore fugge e sprezza.
     Regge speranza il mastro torrione
sotto due guardie; una, fedel, chiamata
prudenzia, e l’altra, svegliata, ragione.
     Castellano è un amor fermo e provato,
20che scorge il tutto; li sergenti èn poi
solliciti pensier, ciascun fidato.
     L’artelaria, i sassi e i dardi soi,
è audacia, i parlar pronti e acuti sguardi,
come dicesse: — Accostati, se pòi. —
     25Son cocenti desir quel fuoco che ardi;
polvere ardente il ton che romba in lutto,
resoluti sospir*** e dardi.
     Provisto antiveder, sagace, instrutto
son poi le monizion, che d’ora in ora
30dá agli inimici alle occorrenzie in tutto.