Pagina:Ariosto, Ludovico – Lirica, 1924 – BEIC 1740033.djvu/123

Da Wikisource.

iv - capitoli 117

XXIII

È tempo di svincolarsi dal laccio amoroso, che lo tormenta
senza frutto, per rivolgere il cuore altrove.

     Non è piú tempo ormai sperar ch’io pieghi
un’alma altiera, un’indurata spoglia,
con lunga servitú, con lunghi prieghi;
     ma ben tempo è sperar ch’un sdegno scioglia
5il laccio in che mi prese, e, preso, a lei
mi diede Amor con mia perpetua doglia.
     Non è piú tempo ch’al bel viso, a’ bei
sembianti, all’accoglienze belle io volti
questi inaccorti e crudel occhi miei;
     10ma ben tempo è mirar che, se raccolti
son i costumi in lei degni di loda,
degni di biasmo ancor ve ne sien molti.
     Non è piú tempo che ’l parlar dolce oda,
che mai con la intenzion non si conforma,
15né tempo è piú che di lusinghe io goda;
     ma ben tempo è dar fede a chi m’informa
qual sia la falsitade e quale il vero,
e d’ire a miglior via m’insegna l’orma.
     Non è piú tempo stare in quel pensiero
20ch’alto mi leva si che abbrucia l’ale,
ma poi torna cadendo al luoco vero;
     ma ben tempo è pensar quanto sia ’l male,
quanto il bene, e stimar l’utile e ’l danno,
render alla fatica il premio uguale.
     25Non è piú tempo a lei mostrar l’affanno
e domandar mercé, ché mie parole
senza frutto co’ venti in aria vanno.
     Ma ben tempo è narrarlo a chi console,
e mi curi, e m’insegni a liberarmi;
30però ch’al mal remedio esser pur suole.