Pagina:Ariosto, Ludovico – Lirica, 1924 – BEIC 1740033.djvu/282

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276 appendice prima

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     Con quai voci darò, con quai parole
degno principio a cosí degni onori?
Con che stil le sue lodi al mondo sole,
debb’io pinger in vari e bei colori?
Qual ingegno divin tanto si còle,
ch’a par de’ merti suoi giá mai l’onori?
Quali essempi darò che non sian scarsi?
O qual beltade a lei deve agguagliarsi?
4
     Poter non poss’io quel che non può farsi;
ma tutto quel ch’io posso, io di lei sono.
Chi dá tutto ciò c’ha, non de’ chiamarsi
brieve, né scarco, abenché picciol dono;
ciò che si fa per ben, non de’ pigliarsi
in mala parte, anzi trovar perdono.
Questo argomento ardir, donne, mi porge
dir del mio Sol quel che per me si scorge.
5
     Benigno ciel, che d’ogni grazia adempí
il secol nostro bello, or senza pare,
mostrando tutto il bel ch’in tutti tempi,
fra quante belle son, si può mostrare,
per dar al mondo inusitati essempi
de le tue forze e maraviglie rare,
cred’io che nel compor simil fattura,
e te stesso vincesti, e la natura.
6
     Vinta fu la natura, e vinti ancora
i pianeti, le stelle e tutti i lumi,
quando nacque costei, ch’a tutti allora
tolse il piú bel de soi benigni numi;
ridea la vaga terra, e la fresc’ora
dolcemente spirava intorno a i fiumi;
Primavera gentil pigneva il mondo;
ogni loco, ogni prato era giocondo.