Pagina:Ariosto, Ludovico – Lirica, 1924 – BEIC 1740033.djvu/303

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liriche apocrife 297

ne riponeva in ciel, pianta beata,
l’ombra ch’or mi s’invola.
55Ahi, folle e dispietata
man che d’orto sí bel ti sveglie e parte,
misera! e per piantarte
ove? in gelata riva,
ove fior maggio a pena o fronde ha viva.

     60Alli esperidi orati alteri frutti
le foglie d’un Genebro i’ pongo avanti,
e ’l vago stelo a tutti
i piú dritti arboscei de li orti santi,
e ’l vivo verde a quanti
65smeraldi mai dienne il piú ricco lido.
Però grido: — Quell’empio che men priva,
m’invidia ben ch’io viva.—

     Ancisa or la mia speme,
anima illustre, cade a tua partenza,
70come vite che senza
sostegno atterra le sue frondi estreme;
e qual fior, s’altri il preme,
il suo bel giallo o rosso, ella tal perde
il suo vivo bel verde.

     75Toltomi, Amor, del mio Genebro amato
l’odor di che nudrissi
il cor, né d’altro io vissi,
questo or sia del mio sen l’ultimo fiato;
né vo’ che di mio stato
80tu curi o mi soccorra, e schivo tutti
tuoi piú salubri frutti;
anzi tuo latte e mele
odio qual tòsco o fèle.