Pagina:Ariosto, Ludovico – Lirica, 1924 – BEIC 1740033.djvu/307

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liriche apocrife 301

Dunque son vivo ancora e parlo e scrivo?
E morto è ’l dolce mio fido conforto?
il mio Ippolito è morto?
30Morte, e tu, in tant’orror perso l’ardire,
non mi sai far morire?
Figliol, se giú dal ciel miri il mio male,
guarda se fu mai pena a questa eguale.
O figliol, quell’aspetto, oimè quel volto
35che di tante mie lacrime bagnai,
io non dovea dipoi riveder mai
in sí tenera etá, Morte, l’hai tolto:
dolorosa memoria, ch’io rivolto
piú morto ch’egli assai sovra il bel viso,
40non mi potea diviso
da quella bocca alcun tenere ancora,
come om di senso fora
ivi cercava (aimè, ch’io la sentiva)
quell’anima gentil che fuor usciva.
     45Dolor crudel, dolor dolce, che sempre
con quell’anima cara m’accompagni,
dolor allor sará ch’io non mi lagni
che questo pianto in pianto mi distempre.
Come harran fin le dolorose tempre
50del mio dolor, s’ognor ’nanzi m’appare
quell’alma, e le mie amare
doglie van rinnovando a tutte l’ore!
Dunque, eterno dolore,
se senza te non posso esser mai seco,
55non mi lasciar, dolor, sta sempre meco.
     Può ben talor nascosamente intrarmi
ne la mente talor che pur vorria
tormi da quel pensier, ma quella mia
passion non lascia in tal doglia fermarmi,
60e dico a me: — Dunque vorrò ritrarmi
di non pensargli? O mio pensier, che quella
alma beata e bella
sol m’apresenti; e voi, penose e liete,
voi che meco il vedete,
65e con voi sole nel mio cor sen viene,
deh! non m’abandonate, alte mie pene.