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Ah lasso! che poss’io piú che mirare
la ròcca lungi, ove il mio ben m’è chiuso?
come la volpe, che’l figlio gridare
nel nido oda de l’aquila di giuso,
s’aggira intorno, e non sa che si fare,
poi che l’ali non ha da gir lá suso.
Erto è quel sasso sí, tale è il castello,
che non vi può salir chi non è augello.
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Mentre io tardava quivi, ecco venire
duo cavallier ch’avean per guida un nano,
che la speranza aggiunsero al desire;
ma ben fu la speranza e il desir vano.
Ambi erano guerrier di sommo ardire:
era Gradasso l’un, re sericano;
era l’altro Ruggier, giovene forte,
pregiato assai ne l’africana corte.
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— Vengon (mi disse il nano) per far pruova
di lor virtú col sir di quel castello,
che per via strana, inusitata e nuova
cavalca armato il quadrupede augello. —
— Deh, signor (dissi io lor), pietá vi muova
del duro caso mio spietato e fello!
Quando, come ho speranza, voi vinciate,
vi prego la mia donna mi rendiate. —
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E come mi fu tolta lor narrai,
con lacrime affermando il dolor mio.
Quei, lor mercé, mi proferiro assai,
e giú calaro il poggio alpestre e rio.
Di lontan la battaglia io riguardai,
pregando per la lor vittoria Dio.
Era sotto il castel tanto di piano,
quanto in due volte si può trar con mano.