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ventesimoquinto 273


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     Ebbile a pena mia domanda esposta,
ch’un’altra volta la vidi attuffata;
né fece al mio parlare altra risposta,
che di spruzzar vêr me l’acqua incantata:
la qual non prima al viso mi s’accosta,
ch’io (non so come) son tutta mutata.
Io ’l veggo, io ’l sento, e a pena vero parmi:
sento in maschio, di femina, mutarmi.

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     E se non fosse che senza dimora
vi potete chiarir, nol credereste:
e qual nell’altro sesso, in questo ancora
ho le mie voglie ad ubbidirvi preste.
Commandate lor pur, che fieno or ora
e sempremai per voi vigile e deste. —
Cosí le dissi; e feci ch’ella istessa
trovò con man la veritade espressa.

66
     Come interviene a chi giá fuor di speme
di cosa sia che nel pensier molt’abbia,
che mentre piú d’esserne privo geme,
piú se n’afflige e se ne strugge e arrabbia;
se ben la trova poi, tanto gli preme
l’aver gran tempo seminato in sabbia,
e la disperazion l’ha sí male uso,
che non crede a se stesso, e sta confuso:

67
     cosí la donna, poi che tocca e vede
quel di ch’avuto avea tanto desire,
agli occhi, al tatto, a se stessa non crede,
e sta dubbiosa ancor di non dormire;
e buona prova bisognò a far fede
che sentia quel che le parea sentire.
— Fa, Dio (disse ella), se son sogni questi,
ch’io dorma sempre, e mai piú non mi desti. —