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256 canto


20
     Morto il suocero mio dopo cinque anni
ch’io sottoposi il collo al giugal nodo,
non stêro molto a cominciar gli affanni
ch’io sento ancora, e ti dirò in che modo.
Mentre mi richiudea tutto coi vanni
l’amor di questa mia che sí ti lodo,
una femina nobil del paese,
quanto accender si può, di me s’accese.

21
     Ella sapea d’incanti e di malie
quel che saper ne possa alcuna maga:
rendea la notte chiara, oscuro il die,
fermava il sol, facea la terra vaga.
Non potea trar però le voglie mie,
che le sanassin l’amorosa piaga
col rimedio che dar non le potria
senza alta ingiuria de la donna mia.

22
     Non perché fosse assai gentile e bella,
né perché sapess’io che sí me amassi,
né per gran don, né per promesse ch’ella
mi fêsse molte, e di continuo instassi,
ottener poté mai ch’una fiammella,
per darla a lei, del primo amor levassi;
ch’a dietro ne traea tutte mie voglie
il conoscermi fida la mia moglie.

23
     La speme, la credenza, la certezza
che de la fede di mia moglie avea,
m’avria fatto sprezzar quanta bellezza
avesse mai la giovane ledea,
o quanto offerto mai senno e ricchezza
fu al gran pastor de la montagna Idea.
Ma le repulse mie non valean tanto,
che potesson levarmela da canto.