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quarantesimoterzo 261


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     Divenimmo ambi di color di morte,
muti ambi, ambi restián con gli occhi bassi.
Potei la lingua a pena aver sí forte,
e tanta voce a pena, ch’io gridassi:
— Me tradiresti dunque tu, consorte,
quando tu avessi chi ’l mio onor comprassi? —
Altra risposta darmi ella non puote,
che di rigar di lacrime le gote.

41
     Ben la vergogna è assai, ma piú lo sdegno
ch’ella ha, da me veder farsi quella onta;
e multiplica sí senza ritegno,
ch’in ira al fine e in crudele odio monta.
Da me fuggirsi tosto fa disegno;
e ne l’ora che ’l Sol del carro smonta,
al fiume corse, e in una sua barchetta
si fa calar tutta la notte in fretta:

42
     e la matina s’appresenta avante
al cavallier che l’avea un tempo amata,
sotto il cui viso, sotto il cui sembiante
fu contra l’onor mio da me tentata.
A lui che n’era stato et era amante,
creder si può che fu la giunta grata.
Quindi ella mi fe’ dir ch’io non sperassi
che mai piú fosse mia, né piú m’amassi.

43
     Ah lasso! da quel dí con lui dimora
in gran piacere, e di me prende giuoco;
et io del mal che procacciammi allora,
ancor languisco, e non ritrovo loco.
Cresce il mal sempre, e giusto è ch’io ne muora;
e resta omai da consumarci poco.
Ben credo che ’l primo anno sarei morto,
se non mi dava aiuto un sol conforto.