Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. III, 1928 – BEIC 1739118.djvu/278

Da Wikisource.
272 canto


84
     dicendole ch’a donna né bellezza,
né nobiltá, né gran fortuna basta,
sí che di vero onor monti in altezza,
se per nome e per opre non è casta;
e che quella virtú via piú si prezza,
che di sopra riman quando contrasta,
e ch’or gran campo avria per questa absenza,
di far di pudicizia esperïenza.

85
     Con tai le cerca et altre assai parole
persuader ch’ella gli sia fedele.
De la dura partita ella si duole,
con che lacrime, oh Dio! con che querele!
E giura che piú tosto oscuro il sole
vedrassi, che gli sia mai sí crudele,
che rompa fede; e che vorria morire
piú tosto ch’aver mai questo desire.

86
     Ancor ch’a sue promesse e a suoi scongiuri
desse credenza e si achetasse alquanto,
non resta che piú intender non procuri,
e che materia non procacci al pianto.
Avea uno amico suo, che dei futuri
casi predir teneva il pregio e ’l vanto;
e d’ogni sortilegio e magica arte,
o il tutto, o ne sapea la maggior parte.

87
     Diegli, pregando, di vedere assunto,
se la sua moglie, nominata Argia,
nel tempo che da lei stará disgiunto,
fedele e casta, o pel contrario fia.
Colui da prieghi vinto, tolle il punto,
il ciel figura come par che stia.
Anselmo il lascia in opra, e l’altro giorno
a lui per la risposta fa ritorno.