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quarantesimoquinto 339


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     Il castellan, senza ch’alcun de’ sui
seco abbia, occultamente Leon mena
col compagno alla torre ove ha colui
che si serba all’estrema d’ogni pena.
Giunti lá dentro, gettano amendui
al castellan che volge lor la schena
per aprir lo sportello, al collo un laccio,
e subito gli dan l’ultimo spaccio.

45
     Apron la cataratta, onde sospeso
al canape, ivi a tal bisogno posto,
Leon si cala, e in mano ha un torchio acceso,
lá dove era Ruggier dal sol nascosto.
Tutto legato, e s’una grata steso
lo trova, all’acqua un palmo e men discosto.
L’avria in un mese e in termine piú corto,
per sé, senz’altro aiuto, il luogo morto.

46
     Leon Ruggier con gran pietade abbraccia,
e dice: — Cavallier, la tua virtute
indissolubilmente a te m’allaccia
di voluntaria eterna servitute;
e vuol che piú il tuo ben, che ’l mio, mi piaccia,
né curi per la tua la mia salute,
e che la tua amicizia al padre e a quanti
parenti io m’abbia al mondo, io metta inanti.

47
     Io son Leone, acciò tu intenda, figlio
di Costantin, che vengo a darti aiuto,
come vedi, in persona, con periglio
(se mai dal padre mio sará saputo)
d’esser cacciato, o con turbato ciglio
perpetuamente esser da lui veduto;
che per la gente la qual rotta e morta
da te gli fu a Belgrado, odio ti porta. —