Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. III, 1928 – BEIC 1739118.djvu/372

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366 canto


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     Di meco conferir non ti rincresca
il tuo dolore, e lasciami far prova,
se forza, se lusinga, acciò tu n’esca,
se gran tesor, s’arte, s’astuzia giova.
Poi, quando l’opra mia non ti riesca,
la morte sia ch’al fin te ne rimuova:
ma non voler venir prima a quest’atto,
che ciò che si può far, non abbi fatto. —

53
     E seguitò con sí efficaci prieghi,
e con parlar sí umano e sí benigno,
che non può far Ruggier che non si pieghi;
che né di ferro ha il cor né di macigno,
e vede, quando la risposta nieghi,
che fará discortese atto e maligno.
Risponde; ma due volte o tre s’incocca
prima il parlar, ch’uscir voglia di bocca.

34
     — Signor mio (disse al fin), quando saprai
colui ch’io son (che son per dirtel ora),
mi rendo certo che di me sarai
non men contento, e forse piú, ch’io muora.
Sappi ch’io son colui che sí in odio hai:
io son Ruggier ch’ebbi te in odio ancora;
e che con intenzïon di porti a morte,
giá son piú giorni, usci’ di questa corte;

35
     acciò per te non mi vedessi tolta
Bradamante, sentendo esser d’Amone
la voluntade a tuo favor rivolta.
Ma perché ordina l’uomo, e Dio dispone,
venne il bisogno ove mi fe’ la molta
tua cortesia mutar d’opinïone;
e non pur l’odio ch’io t’avea, deposi,
ma fe’ ch’esser tuo sempre io mi disposi.