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Pagina:Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu/132

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canto quinto. 103

E quello alla sua gente, che divise
In tre battaglie, al destro fianco mise.

9 E così fece che ’l sinistro lato
Non men difeso era dall’altro fiume:
L’argin si pose dietro, e lo steccato,
Da non poter salir senza aver piume.
Il corno destro ad Olivier fu dato,
Del sangue di Borgogna inclito lume,
Che cento fanti avea per ogni fila,
Le file cento, con cavai seimila.

10 Ebbe il Danese in guardia l’altro corno,
Con numer par di fanti e di cavalli.
L’imperador, di drappo azzurro adorno,
Tutto trapunto a fior di gigli gialli,
Reggeva al mezzo; e i Paladini intorno,
Duchi, marchesi e principi vassalli,
E sette mila avea di gente equestre,
E duplicato numero pedestre.

11 All’incontro, il stuol barbaro, diviso
In tre battaglie, era venuto innanti,
Men d’una lega appresso a questi assiso,
E similmente avea i due fiumi ai canti.
Cento settanta mila era il preciso
Numer, ch’un sol non ne mancava a tanti;
E in ogni banda con ugual porzioni
Partiti i cavalli erano e i pedoni.

12 Ogni squadra de’ Barbari non manco
Ivi quel giorno stata esser si crede,
Che tutto insieme fosse il popol franco,
Quanto ve n’era chi a caval, chi a piede:
Ma tale ardir e tal valor, tale anco
Ordine avean questi altri, e tanta fede
Nel suo signor, d’ingegno e di prudenza,
Che ciascun valer quattro avea credenza.

13 Ma poi sentîr, che si trovâr in fatto,
Che pur troppo era un sol, non che a bastanza;1
Nè di quella battaglia ebbono il patto,
Che lor promesso avea lor arroganza:
E potea Carlo rimaner disfatto,


  1. Intendasi: ma poi che si trovarono nel fatto, sentirono che pur troppo uno d’essi era un solo, non che fosse a bastanza a combattere il maggior numero.