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canto quinto. 109

Che verran nell’esercito d’Orlando,
E lasceran Rinaldo e li fratelli.
Rinaldo, al fin, si vien certificando
Ch’Orlando esser non vuol delli ribelli;
E si conosce, in somma, esser tradito,
Ma quando non vi può prender partito.

40 Vede che se non viene al fatto d’arme,
Ancor che nol può far con suo vantaggio,
Di fame sarà vinto, se non d’arme,
Ch’a lui nave ir non può nè carrïaggio:
E teme appresso, che la gente d’arme
Un giorno non si levi a fargli oltraggio;
Che non è cosa che più presto chiame
A ribellarsi un campo, che la fame.

41 Mirava le sue genti, e gli parea
Che di fede sentissero ribrezzo;1
Sì la giunta d’Orlando ognun premea,
Ch’avea creduto dover stare in mezzo.2
Rinaldo, poichè forza lo traea,
Fece tutto il suo campo uscir di rezzo,3
E cautamente, in quattro schiere armato,
Al conte il fe veder fuor del steccato.

42 Già prima i fanti e i cavalieri avea
Con Unuldo partito e con Ivone:
Quei di Medoco il duca conducea,
Con quei di Villanova e di Rione,
Da san Macario, l’Aspara e Bordea,
Selva Maggior, Caorsa e Talamone,
E gli altri che dal mar fino in Rodonna
Tra Cantello s’albergano e Garonna.

43 Usciti erano gli Ausci ed i Tarbelli
Sotto i segni d’Unuldo alla campagna;
I Cotueni e li Ruteni, e quelli
Delle vallée che Dora e Niva bagna;
E gli altri che le ville e li castelli
Quasi vôti lasciâr della montagna,
Che già natura alzò per muro e sbarra
Al furore Aquitano e di Navarra.


  1. Sentissero paura o rimorso della fede rotta a re Carlo.
  2. Lo stesso che starsi di mezzo, non prender parte tra i contendenti.
  3. Dal coperto, o dagli alloggiamenti.
ariosto.Op. min. — 1. 10