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126 stanze.

Or dello scudo d’ôr le fa parole,
Che seco porta, e ciò che far ne vuole.

4 Che non per altro effetto che per darlo
Al re di Francia, in Francia era mandata,
Con patto che l’avesse a donar Carlo
Al miglior cavalier di sua brigata:
E poi soggiunse che volea mostrarlo
A lei, che ben tal vista avrebbe grata,
Però ch’era il più ricco e bel lavoro
Che mai con smalto alcun facesse in oro.

5 E che da vecchi e savi cherci avea
Udito dir che la savia Sibilla
Che abitò a Cuma e fu detta Cumea,
Formò lo scudo all’infernal favilla,
Nel tempo che a Silvestro dar volea
Costantino a guardar quella gran villa:
Villa dirò, chè allor villa divenne
La città che del mondo il scettro tenne.

6 Dicea la donna: — Quando ebbe disegno
Costantin di lasciar Italia e Roma,
Ne venne in Grecia, e fe capo del regtno
Quella città che ancor da lui si noma.
Molti lo giudicâr di poco ingegno,
E ch’avesse il cervel sopra la chioma:
Pur, come sempre a gran signori accade,
Gli osavan pochi dir la veritade.

7 E discorrendo alcuni sopra questa
Biasmata volontà, giudicio fêro,
Che saría la mina manifesta
Prima di Roma, e poi dell’alto impero.
Tal gita più d’ogn’altro ebbe molesta
Chi più d’ogn’altro ne previde il vero,
La Sibilla Cumea, la qual ridotta
S’era in que’ tempi alla Nursina grotta.

8 Su gli aspri monti in una selva folta.
Dai luoghi ameni ove abitava prima,
Si trasse, poi che al vero Dio rivolta
S’era la gente quasi in ogni clima,
E che l’oblazïon si vide tolta,
E rimaner inculta e in poca stima;
E fuor d’ogni commercio in quella parte
È di poi stata sempre a far su’arte.