Pagina:Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu/245

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216 elegia prima.

18Securo il cor con amorosi gridi.
     Vener, lasciando i tempî Citerei,
E gli altari e le vittime e gli odori
21Di Gnido e d’Amatunta e de’ Sabei,
     Sovente con le Grazie in lieti cori
Vi danzò intorno, e per li rami intanto
24Salían scherzando i pargoletti Amori.
     Spesso Dïana, con le Ninfe a canto,
L’arboscel soavissimo prepose
27Alle selve d’Eurota e d’Erimanto.
     E queste ed altre Dee, sotto l’ombrose
Frondi, mentre in piacer stavano e in festa,
30Benedicean talor chi il ramo pose.
     Lassa! onde uscì la boreal tempesta?
Onde la bruma, onde il rigor e il gelo,
33Onde la neve a’ danni miei sì presta?
     Come gli ha tolto il suo favore il cielo?
Langue il mio Lauro, e della bella spoglia
36Nudo gli resta e senza onor lo stelo.
     Verdeggia un ramo sol1 con poca foglia;
E fra tema e speranza sto sospesa,
39Se lo mi lasci il verno lo mi toglia.
     Ma, più che la speranza, il timor pesa
Che contra il ghiaccio rio, che ancor non cessa,
42Il debil ramo avrà poca difesa.
     Deh! perchè, innanzi che sia in tutto oppressa
L’egra radice, non è chi m’insegni
45Com’esser possa al suo vigor rimessa?
     Febo, rettor delli superni segni,
Ajuta l’arboscello, onde corona
48Più volte avesti ne’ Tessali regni.
     Concedi Bacco, Vertunno e Pomona,
Satiri, Fauni, Driade e Napee,
51Che nuove fronde il Lauro mio ripona.
     Soccorran tutti i Dei, tutte le Dee,
Che degli arbori han cura, il Lauro mio;
54Però ch’egli è fatal. Se viver dee,
     Vivo io; se dee morir, seco moro io.




  1. Accenna alla suddetta Caterina, unica figlia di Lorenzo. — (Molini.)