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egloga. | 271 |
105Di spegner tre con lui nati d’un seme!
Dirai ch’egli d’Eraclide non fusse,
Se nella ripa di Sebeto amena
108La castissima Argonia1 gliel produsse?
Melibeo.Il vero a forza a non negar mi mena;
Nè stran mi par, quando d’eletto grano
111Il loglio nasca e la sterile avena.
Ma perchè chiesto tu non m’abbi invano,
Chi altri al tradimento è che prestasse
114Favore, col consiglio con la mano;
Al canuto Silvan2 gran colpa dàsse;
Al gener3 più, che quasi per le chiome
117Il rimbambito suocero vi trasse.
L’altro non so se Boccio4 è detto, come;
Gano5 è l’estremo, anzi il primiero in dolo,
120A cui forse era Ingan più proprio nome.
Tirsi.Che Gan sia in colpa, ho più piacer che duolo;
Perchè fra tutti gli uomini del mondo
123M’era, nè so la causa, in odio solo:
Se però parli d’un carnoso e biondo
Che solea Alfenio tra’ suoi cari amici
126Stimar più presto il primo che ’l secondo.
Melibeo.Io dico di quel biondo che tu dici;
Come nel corpo d’esca, sonno ed ocio,
129Così grasso nell’anima di vici:
Di quel che, di vil servo, fatto socio
- ↑ Eleonora d’Aragona, figlia di Ferdinando I re di Napoli, la quale partorì in Napoli don Ferrante, il 28 settembre 1477.
- ↑ Albertino Boschetti, conte di San Cesario, sul Modenese, principal motore e fomentatore della coogiura, come racconta il Muratori. — (Lampredi.)
- ↑ Gherardo Roberti, genero e complice del suddetto. Era capitano dei balestrieri. Egli fuggì, ma fu preso a Carpi. — (Molini.)
- ↑ Franceschino Boccaccio da Rubiera, altro congiurato, cameriere di don Ferrante. Tutti i tre suddetti furono decapitati e squartati. — (Molini.) — Il creduto Pistofilo chiama costui Franceschino da Reggio. V. sopra, pag. 264.
- ↑ Fu costui un tal Giano, guascone, che il duca Ercole trovò fanciullo in Francia a mendicare, e seco condusse e fecegli insegnar a cantare, poichè aveva bellissima voce. Si rese prete, e divenne cantore in corte d’Alfonso, e suo confidente. Scopertasi la congiura, gli riuscì fuggire, e rimase nascosto per molto tempo. Fu poi trovato a Roma al servizio del cardinal Sangiorgio, e spedito prigione a Ferrara, ove nell’ingresso poco mancò che non fosse fatto in pezzi dal popolo furibondo. Confessò il suo fallo, e fu esposto al pubblico in una gabbia di ferro, ove non potendo più soffrire gli insulti del popolo, si strozzò da sè medesimo. — (Molini.)