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sonetti. 307

Sonetto XXX.


     Ecco, Ferrara, il tuo ver paladino1
Di fè, d’ingegno, di prodezza e côre;
Ecco quel c’ha chiarito il fatto errore
4D’alcun di Spagna al buon duca d’Urbino.
     Animo generoso e pellegrino,
Che di sì grande impresa il grande onore
Riporti alla tua patria, al tuo signore,
8Qual già gli Orazi al popolo sabino;
     Fra ferri ignudo, e sol di côre armato,
Con l’altero inimico a fiera fronte,
11Quanto è il valor d’Italia hai dimostrato.
     Difeso hai ’l vero, e vendicate l’onte,
E l’ardir orgoglioso hai superato;
14Fatte hai le forze tue più aperte e conte.
                    Forse saran men pronte
Le voglie di color che a simil giôco
17Innanzi al fatto avean un côr di fôco.
                    Ecco che a tempo e loco
Il Ciel, ch’opra lassù, quaggiù dispone
20Virtù, giustizia a un tempo, e paragone.


Sonetto XXXI.


     Magnifico fattore Alfonso Trotto,2
Tu sei per certo di grand’intelletto:
In ciò che tu ti metti esci perfetto,
4Ed i maestri ti lasci di sotto.
     Da Cosmico3 imparasti d’esser ghiotto


  1. Questo Sonetto è riportato dal Baruffaldi, Vita dell’Ariosto, pag. 179. Fu scritto dal poeta in occasione d’un duello seguito fra un soldato ferrarese, nominato Rosso della Malvasía, e un soldato spagnuolo, eletti dalle due parti come campioni a sostener l’onore delle due nazioni, per aver detto un soldato italiano che gli Spagnuoli erano traditori dell’infelice duca di Urbino. In questo duello, accaduto nel regno di Napoli, il soldato spagnuolo rimase ucciso. — (Molini.)
  2. Così nominavasi colui contro il quale fu fatto il Sonetto. Era fattor ducale in Ferrara, carica assai importante, come quella che comprendeva la presidenza all’economia e a’ contratti privati del principe. Il poeta lo ebbe contrario in certa lite insorta tra i fratelli Ariosti e la Camera ducale, per cagione della pingue eredità del conte Rinaldo Ariosti loro cugino, morto senza successione mascolina. La Camera andò al possesso di que’ beni, riguardandoli come feudali. Primo giudice in quella causa fu il detto Alfonsino Trotti, che sentenziò contro i fratelli Ariosti. Al v. 9, quel Benedetto Bruza fu fattor ducale ancor egli, e precedè nella carica il Trotti. — (Molini.)
  3. Tra le poesie latine del nostro Autore trovasi un Epitaffio in lode di