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406 | rinaldo ardito. |
E d’un gran colpo l’elmo le martella,
Di che gran pena1 ne sostenne quella.
70 Ma súbito grande ira al cuor le monta,
E con il brando il capo gli percuote,
Chè ’l colpo dato a lei con questo sconta,
E impallidir gli fece ambe le gote;
Ma il re Bravante le lassò una ponta,
Che appena ella in arcion tener si puote:
Ma, per la gente ch’ivi allor si mosse,
Per forza l’un da l’altro separòsse.
71 Ma con Buffardo si scontrò Dudone,
E con gran stizza addosso se gli cazza;2
D’una mazzata il giunse in un gallone,
E poco men ch’in terra nol tramazza;
Chè grande anch’esso e forte era il barone,
Perito molto in adoprar la mazza.
Ora centra a Dudon venne il pagano,
E l’uno e l’altro con la mazza in mano.
72 Mena il gigante con la sua ben ferma* 1
Mazza a Dudone;* 2 egli da parte salta,
E convien che con senno e ben si scherma,
Chè troppo acerbo il saracin lo assalta:
Ma Dudon nel costato allor gli afferma
La mazza, nè levòlla allor troppo alta;
E di dolor, tanto la mazza il tocca,
Gettò il pagan la lingua fuor di bocca.
73 Ma súbito il gigante in sè rivenne,
E nell’elmo a Dudon gran colpo tira:
Quasi cade il baron, pur si ritenne;
Ma monta per vergogna e doglia in ira
Tanto, che addosso a quel gigante venne,
E alla visiera,3 dove il fiato spira,
Toccòllo, e il naso talmente gli offese,
Che Buffardo per doglia a terra stese.
74 Occiderlo volea Dudone allotta,
E per ferirlo avea già il braccio in ponto;