Pagina:Ariosto-Op.minori.1-(1857).djvu/63

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34 i cinque canti.

Ed entrando invisibil nella rôcca,
Con essa nelle tempie un poco il tocca.

22 Quel cade addormentato; Alcina il prende,
E scongiurando gli spirti infernali,
Fa venir quivi un carro, e su ve ’l stende,
Che tiran duo serpenti c’hanno l’ali;
Poi verso Italia in tanta fretta scende,
Che con la più non van di Giove i strali.
La medesima notte è in Lombardia,
In ripa di Ticin dentro a Pavia;

23 Là dove il re de’ Longobardi allora
L’antico seggio, Desiderio, avea.
Nel cielo orïental sorgea l’aurora
Quando perdè il vigor l’acqua letea:
Lasciò il sonno il Sospetto; e quel che fuora
E lontan dal castel suo si vedea,
Morto saría, se non fosse già morto;
Ma la Fata ebbe presta al suo conforto.

24 Gli promise ella in dietro rimandarlo
Senza alcun danno; e in guisa gli promesse,
Che potè in qualche parte assicurarlo,
Non sì però che in tutto lo credesse:
Ma pria, che in Desiderio, che di Carlo
Temea le forze, entrasse gli commesse,
E che non se gli levi mai del seno,
Fin che tutto di sè non l’abbia pieno.

25 Mentre fu Carlo i giorni innanzi astretto
Dal re d’Africa a un tempo e da Marsiglio,
Il re de’ Longobardi, per negletto
E per perduto avendo posto il Giglio,
Non curando nè papa nè interdetto,
Alla Romagna avea dato di piglio;
Poi entrando in la Marca,1 con battaglia
E Pesaro avea preso e Sinigaglia.

26 Indi sentendo ch’era il foco spento,
Morto Agramante e il re Marsilio rotto,
Della temerità sua mal contento,
Si reputò a mal termine condotto.
Or viene Alcina, e accrescegli tormento;
Chè fa il rio spirto entrar in lui di botto,


  1. Il Barotti: «Po’ entrando ne la Marca.»