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92 | i suppositi. |
sperato. Non mi partirò di questa terra, ch’io lo ritornarò meco.
Ferrarese. Amor de’ figliuoli è cosa umana, ma averne tanta tenerezza è femminile.
Filogono. Io son così fatto. Diréiti1 ancora, che alla venuta mia hanno dato maggior causa dui o tre nostri Siciliani, che diversamente2 sono a caso passati per questa terra, e gli ho dimandato del mio figliuolo: m’hanno risposto essere stati a Ferrara, ed aver inteso di lui tutti li beni del mondo, ma che non l’hanno mai potuto vedere; e sono stati chi dua e chi tre volte per visitarlo a casa. Dubito che sia tanto in queste sue littere occupato, che non voglia mai far altro, e schivi di parlare con gli amici e compatriotti suoi, per non defraudare il suo studio di quel pochissimo tempo; e per questo non de’ soffrire pur di mangiare, e dubito che tutta la notte vegli. Egli è giovene, e con delicatezze allevato: se ne potrebbe morire, o impazzare facilmente, o di qualche altra simile disgrazia darsi cagione.
Ferrarese. Tutte le cose troppe, sino alle virtù, sono da condannare. Ma questa è la casa dove abita Erostrato tuo: io batterò.
Filogono. Batti.
Ferrarese. Nessun risponde.
Filogono. Batti un’altra volta.
Ferrarese. Credo che costoro dormano.
Lico. Se questa porta fusse tua madre, maggior rispetto non avresti di batterla. Lascia fare a me. Oh, olà, non è in questa casa alcuno?
SCENA IV.
DALIO, FILOGONO, LIGO, FERRARESE.
Dalio. Che furia è questa? ci volete voi spezzare l’uscio?
Lico. Io credo che voi dormivate.
Filogono. Erostrato che fa?
Dalio. Non è in casa.
Filogono. Apri, chè noi entriamo.
Dalio. Se avete fatto pensiero di alloggiare qui, mutate-