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102 | i suppositi. |
Pasifilo. Se m’avessi fatto giudice de’ savî,1 tu non mi davi officio che più secondo il mio appetito fusse. Io vi vo di botto.
SCENA III.
EROSTRATO solo.
Più presto che mi è stato possibile, levato m’ho costui da canto, perchè non veda le lagrime e non oda li sospiri che nè più gli occhi miei nè ’l petto mio richiudere ponno. Ah maligna fortuna! li mali, che dispensati a parte a parte fra molti anni sarebbono stati a fare un uom miserrimo sufficienti, tutti insieme raccolti da due ore in qua me gli hai versati in capo! Nè sono al fine ancora; che già mi preveggio molto maggiori di questi, infiniti e memorabili, apparecchiarsi. Tu, il padron mio che nella sua più verde età non uscì mai di Sicilia, ora hai nella più decrepita sin a Ferrara voluto condurre; e questo giorno appunto, quando meno era il bisogno nostro! Tu gli hai cresciuti e minuiti e temperati così ben i venti, che nè prima di oggi, nè dopo tre giorni o quattro n’ha possuto giungere! Nè ti bastava avermi gettato questo laccio ne’ piedi, se ancora non facevi l’amorosa trama del giovene Erostrato insiememente discoperta riuscire? Tu l’hai tenuta2 già due anni sin a quest’ora occulta, per riserbarti a questo scelerato giorno a rivelarla. Che debb’io, ah lasso! che posso fare io? Più non è tempo da immaginare astuzie. Troppo ogn’ora, ogni attimo è periculoso, che dare si differisca ad Erostrato soccorso. Bisogna finalmente ch’io vada a ritrovare il padron mio Filogono, e che a lui senza una minima bugía tutta l’istoria narri, acciò ch’egli alla vita del misero figliuolo con súbito rimedio provvegga. Così è il meglio; così farò dunque, avvengachè certissimo sia, che estremo supplizio me ne abbia a succedere. L’amore ch’al padron giovene io porto, e le ubbligazioni onde io gli sono astretto, ricerca che salvare la sua vita con mio danno grandissimo non dubiti. Ma che? anderò io cercando Filogono per la terra, o pur attenderò se qui ritorni? S’egli di nuovo mi vede nella via, alzerà la voce, nè patirà