Pagina:Ariosto-Op.minori.2-(1857).djvu/125

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A chi paresse per troppo affetto men valida la testimonianza di Virginio Ariosto, a comprovare ciò che altrove dicevasi (pag. 2) circa la fama goduta da Lodovico nella comica poesia, potrebbe oggi aggiungersi quella di Giovammaria Cecchi, coetaneo a Virginio, ma più tardi scrivente, com’è da credere, il suo prologo alla commedia I Rivali. Che anzi giova por mente alla mirabile consonanza dei giudizi espressi da ambedue: chè, dove quel da Ferrara asserisce genericamente, benchè di commedie parlando,

               ... l’Arïosto, che è stato al mondo unico
               Ne’ tempi nostri...      (Vedi a pag. 428);

il Fiorentino raggrandisce quell’elogio e il rende eziandio più specifico, scrivendo:

               E ’l divino Arïosto..., a chi cedono,
               Greci, Latini e Toscan, tutti i comici.

Ma tra le lodi a lui date da quei che vivo il conobbero, la più singolare ci sembra essere la tributatagli da un uomo generalmente infamato come adulatore e malédico, da un suo rivale nell’arte, da quel flagello non già de’ principi ma delle lettere ch’egli vituperò, Pietro Aretino. Costui, nella Cortigiana, facendo chiedere all’uno de’ due recitatori del prologo di chi fosse questa commedia e s’ella fosse dell’Ariosto, induce l’altro a rispondere: «Oimè, che l’Ariosto se n’è ito in cielo, poichè non aveva più bisogno di gloria in terra;» poi tosto il primo a soggiungere: «Gran danno ha il mondo di un tanto uomo, che, oltre alle sue virtuti, era la stessa bontà.» La quale sentenza, stendendosi non che alla celebrità, ma ai pregi morali del poeta, vedesi eziandio profferita quando la morte stessa avéa tolto di mezzo gl’incentivi siccome i ritegni al mentire.

Queste cose accennammo, non per fare vieppiù graziosi nè raccomandati i componimenti drammatici di messer Lodovico, ma perchè da noi non sapevasi chi avesse posta su quelle particolare attenzione. Nè vogliamo tuttavía diffonderci in encomî, che non bisognano; nè in analitiche dimostrazioni, per le quali e l’attitudine e lo spazio ci mancano egualmente. Diremo invece, e con ingenuità, le impressioni da noi ricevute durante il lavoro ingratissimo del sopravvedere alla stampa. Ci è parso che l’autor nostro sia quello che