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204 la cassaria.

Che finisca d’ornarsi. Tu sollicita
Fin ch’io ritorno;1 altre cose m’importano
Non men, chè sarà meglio di espedirmene
Intanto. O quanto, quanto tempo2 perdono
In vestirsi e lisciarsi queste femmine!
Aspetta, aspetta pur: mai non ne vengono
A fin. Trecento spilletti han da mettersi
Intorno, a ciaschedun de’ quali mutano
Trecento volte loco, nè li lasciano
Poi fermi ancora. Ogni capello voltano
In cento guise, nè ancor si contentano,
Nè ancor così lo lasciano. Poi vengono
A i lisci: or qui ti voglio, oh pazienzia!
L’uno col bianco e poi col rosso mettono,
Levano, acconcian, guastano; cominciano
Di nuovo: più di mille volte tornano
A rivedersi nello specchio. Oh che opera
Lunga in pelarsi le ciglia! oh che industria
In rassettarsi le poppe, che stiano
Sórte per forza, e giù fiacche non caschino!
Che fan col coltellin, che con le forbici
All’ugne, e che coi saponetti liquidi
E limoni alle mani? Un’ora vogliono
A lavarle, ed appresso un’altra ad ungere
E stropicciarle, perchè stieno morbide.
A stuzzicarsi i denti quanto studio,
Quanto a fregarli con diverse polveri
Si mette! Quanto tempo, quanti bossoli,
Quante ampolle e vasetti, quante tattare
Che non saprei contar tutte, s’adoprano!
In minor tempo si potría un navilio
Armar di tutto punto. Ma che diavolo!
Se s’ha da dir il ver, perchè riprenderle
Si dee che ’l proprio loro instinto seguono,
Il qual è di cercar con ogni studio
Di parer belle, e supplir con industria
Dove manchi natura? Ed è giustissimo


  1. Queste parole, che dice nell’uscir della casa di Lucramo, sono rivolte ad alcuno che è colà entro; forse a Furbo. — (Tortoli.)
  2. Così la buona stampa del Giolito, avvertendo che altri, e il Barotti medesimo, omisero il secondo quanto. Dal che la correzione fatta dai più moderni: O Dio, quanto mai tempo.