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atto primo. — sc. vii. 15

e mena dui carri teco, e tre facchini o quattro, che prima che ci manchi il giorno, fo pensieri avere tutta sgombrata la casa ed imbarcata ogni mia cosa, chè1 nulla ci impedisca da potere con lui partire; che2 più util viaggio far possiamo, che quando venimmo ad abitar qui, dove sono più li forestieri in odio, che la verità nelle corti. Che guardi, che non voli via? Spuleggia di non calarti in solfa per questa marca, che al cordoan si mochi la schioffa.3

Furba.     Ciffo ribaco il contrapunto.

Lucrano.     (Averò cantato in guisa, che se Erofilo è in casa, mi potrà aver sentito.)




ATTO SECONDO.




SCENA I.

EROFILO, CARIDORO gioveni, VOLPINO,

FULCIO, servi.


Erofilo.     Non so che imaginarmi, che così tardi Volpino a ritornare.

Caridoro.     Se Fulcio non lo ritrova, almen ritornasse lui.

Erofilo.     Credo che tutti gl’infortuni abbino congiurato a’ nostri danni.4

Caridoro.     Eccoli, per dio, che vengono.

Volpino.     — Si potrebbe, Fulcio, per salvare dui amanti e distruggere uno avarissimo ruffiano, ordinare astuzia che fusse più di questa memorabile?

Fulcio.     Volpino, per quella fede che ho nelle mia spalle, mi pare questa invenzione simile ad uno fertile e mal coltivato campo, che non manco di triste che di buone erbe si vede pieno.

Volpino.     Quando non succeda, aremo uno conforto alme-


  1. Affinchè, o In guisa che.
  2. Augurativo. Erroneamente, qui presso, le antiche stampe: più vil.
  3. Queste e le parole della risposta del Furba, credute comunemente del linguaggio jonadattico o furbesco, non fu chi si désse cura d’interpretare.
  4. Le antiche stampe, non bene: congiunto nostri danni.