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atto terzo. — sc. ii, iii. 315

Pur non ci spero; chè questi che prestano
A usura, esser rubaldi non è dubbio;
E quest’altri che compran per rivendere,
Son fraudolenti, e ’l ver mai non ti dicono:
Nè l’altre cose più volentier pigliano
Delle rubate, perchè comperandole
Costan lor poco; e se danar vi prestano
Sopra, sanno che mai non si riscuotono.
Corbolo.Avvisiamoli pur; facciamo il debito
Nostro noi.
Ilario.                 Se ’l ti par, va dunque, avvisali.


SCENA III.

CORBOLO, PACIFICO.


Corbolo.La cosa ben procede; posso metterla
Per fatta. Non mi resta altro a conchiuderla,
Che farmi i pegni rendere da Giulio;
Di poi mandarli per persona incognita
Ad impegnar quel più che possa aversene.
Il vecchio, so, li riscuoterà subito
Che saprà dove sien. Ma vô che Flavio
L’intenda, acciò governar con Ilario
Si sappia, e i nostri detti si conformino.
Ecco Pacifico esce.
Pacifico.                                Ti vuol Flavio.
Corbolo.A lui ne vengo, e buone nuove apportogli.
Pacifico.Le sa, chè ciò c’hai detto, dal principio
Al fine abbiamo inteso; ch’ambi stati le
Siamo a udir dietro all’uscio, ne perdutone
Abbiam parola.
Corbolo.                         Che ve ne par?
Pacifico.                                                  Diamoti
La gloria e ’l vanto di saper me’ fingere
D’ogni poeta una bugía. Ma fermati,
Chè non ti vegga entrar qua dentro Fazio:
Come sia in casa e volga le spalle, entraci.