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494 la scolastica.

Che discesero tutti, e insieme uscirono
Fuori di casa: io parlo sol degli uomini.
Veronese.(Oh! che bisogno ho io di questa favola?)
Claudio.Ma non per questo so quel ch’io deliberi;
Che, se Flaminia è in casa, la custodia
Ci è della madre. Ma in un tratto apparvero
Monna Lucrezia, la fante e Flaminia;
Le due co’ veli in capo, ma Flaminia
Era pur senza. A cui la madre voltasi:
— Acciocchè più non t’offenda quest’aria,
Disse, torna di sopra, e quivi aspettami
Fin tanto, con la fante del nostro ospite,
Ch’io sia tornata d’udir la santissima
Messa di quella Santa devotissima
Agata, della quale oggi si celebra
La festa. — E così detto, se n’uscirono,
E sola ne restò la mia dolcissima
Flaminia. Allor mi parve il tempo comodo
Mostrarmi; e aperto l’uscio, netto balzomi
Fuor della tana; ed ella, a tanto subita
Apparenza, gridar volle: ma subita-
mente il timor suo converse in lagrime,
Che mi conobbe,1 e nel petto lasciòmmisi
Cadere, e parve al mio voler rimettersi.
Felicità inaudita! Nelle braccia
Subito me la reco. Oh, come voglia mi
Viene spiccar2 due salti qui in presenzia,
Se ben vi fosse il popolo col principe.
Or va.
Veronese.          (Deh, vedi, vedi a che buon termine
Con costui mi ritrovo!)
Claudio.                                        E così subito.
Senza perdervi tempo torno in camera,
E pongo il ferro all’uscio: il resto dicalo
Altri che s’è trovato a simil termine.
Deh, se pur quindi non mi partir lecito
Mi fosse stato! Oh Dio, quanto3 più copia


  1. G. A., e le stampe: «ed ella, al così subito Apparir mio si sbigottì, e di fuggere Tentò: ma nol concessi; anzi ritennila Tanto, che il suo timor convertì in lagrime, E mi conobbe.»
  2. Lo stesso, ec.: «Vien di spiccar.»
  3. Così, concordemente, i manoscritti e le stampe; ma è forse da correggersi: quando.